Pablo Neruda
A una polena
Sulle sabbie di Magellano ti raccogliemmo affranta
navigante, immobile
sotto la tempesta che tante volte il tuo dolce petto
sfidò e in due capezzoli divise.
(Milano, Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica – Leonardo da Vinci).
Ti rialzammo un’altra volta sui mari del Sud, ma ora
eri la passeggera dell’oscuro, degli angoli, come
il grano e il metallo che custodivi
in alto mare, avvolta nella notte marina.
Oggi sei mia, dea che l’albatro gigante
sfiorò con la sua ampiezza spiegata nel volo,
quasi un manto di musica che nella pioggia eseguono
le tue cieche ed erranti palpebre di legno.
Rosa del mare, ape più pura dei sogni,
donna come una mandorla che dalle radici
di una quercia popolata di canti
sei divenuta forma, forza di foglie e nidi,
bocca di tempeste, dolcezza delicata
che avrebbe conquistato la luce coi suoi fianchi.
Quando angeli e regine che nacquero con te
si coprirono di muschio e dormirono
immobili venerate come morti,
sei salita sulla cima sottile della nave,
angelo e regina e onda, per far tremare il mondo.
Il brivido degli uomini saliva
fino alla tua nobile tunica, al tuo petto di mela,
mentre le tue labbra, oh dolce, erano inumidite
da altri baci degni della tua bocca selvaggia.
Nella notte incredibile il tuo cinto lasciava
cadere il peso puro della nave sull’onde
tagliando nella cupa grandezza un sentiero
di fuoco demolito, di fosforico miele.
Nei tuoi riccioli il vento aprì la burrascosa
sua cassa, lo sfrenato metallo del suo gemito,
e la luce dell’alba ti accolse tremolante
nei porti per baciarti il molte diadema.
Qualche volta hai fermato sul mare il tuo viaggio
e l’ondeggiante scialuppa calò dalla murata,
simile a un grosso frutto che si distacca e cade,
un marinaio morto che la schiuma accoglieva
in quel puro oscillare del tempo e della nave.
Ma solo tu fra tutti i volti snervati
dalla minaccia, immersi in un dolore sterile
hai accolto quel sale spruzzato sul tuo viso
e negli occhi hai serbato le lacrime salate.
Più di una povera vita scivolò dalle tue braccia
verso l’eternità delle tue acque mortuarie
e l’attrito causato dai vivi e dai defunti
ti ha logorato il cuore di legno marino.
Oggi abbiamo raccolto dalla sabbia la tua forma.
Alta fine, ai miei occhi tu eri destinata.
Forse dormi, ma già dormivi; sei forse morta, ma già eri morta;
finalmente il tuo moto ha scordato il sussurro
e lo splendore errante il suo periplo ha chiuso.
Furie del mare, percosse del cielo hanno cinto
di una corona di squarci la tua testa altera
e il tuo volto come una conchiglia riposa
con ferite che segnano la tua fronte cullata.
Per me la tua bellezza serva tutto il profumo,
tutto l’acido errante e la sua notte buia.
E nei tuoi seni eretti di lampada e di dea,
turgida torre, immoto amore, vive la vita.
Tu navighi con me, protetta , fino al giorno
che ciò che io sono sarà lasciato cadere nella schiuma.